Il Palazzo Ducale di Massa

Il Palazzo Ducale, sede della Provincia e della Prefettura di Massa-Carrara, costituisce di certo con la sua grandezza (82 m. su piazza Aranci) e sontuosità, il più imponente e forse il più bel monumento di Massa.

Trae origine dalla volontà del principe Alberico I Cybo-Malaspina di dare al suo piccolo stato un decoro ed un’immagine tali da ben figurare nel concerto dei raffinati principati del ‘500 italiano.
Rifondata e cinta di mura la Massa Cybea nel 1547, Alberico trasformò la vecchia casa che possedeva al piano nel borgo di Bagnara in un sontuoso palazzo per trasferirvi la residenza della corte dal troppo austero e medievale Castello Malaspina.
Venne perciò edificato il nucleo originario dell’attuale Palazzo, costituito dall’angolo superiore fino alla nona finestra della facciata (1567-1570).

Le numerose asimmetrie che si riscontrano nel prospetto principale si spiegano infatti con le vicende del suo formarsi e documentano gli interventi successivi che i diversi Signori regnanti effettuarono per accrescere la simbolica importanza della residenza ducale.

Carlo I, successo ad Alberico, volle dotare il Palazzo di un ambiente di ricevimento degno dei fasti familiari della moglie, Veronica Cybo e delle residenze genovesi in cui era cresciuto. Fece aggiungere pertanto all’edificio il Salone, detto degli Svizzeri raddoppiandone praticamente la facciata.
In tal modo dovette anche procedere allo spostamento del portone d’ingresso, che per essere meglio proporzionato alla grandiosità dell’insieme fu arricchito del bel terrazzo sovrastante, impreziosito con fregi e statue di marmo. Questo elemento architettonico venne ripreso in seguito in numerosi palazzi privati della città.

Il successore, Alberico II, continuò nell’ampliamento del palazzo costruendo una terza ala, parallela alla facciata e risolvendo genialmente il complessivo equilibrio con la chiusura del cortile mediante la costruzione della loggia, che a quel tempo si apriva sulla vista del mare. Realizzava così all’interno dell’edificio in piena epoca barocca un magnifico esempio di cortile cinquecentesco di chiaro sapore Bramantesco. Artefice di questa armonica invenzione fu, attorno al 1670, Giovanni Francesco Bergamini, esponente di una famiglia di architetti che per due secoli caratterizzò l’architettura dei Cybo-Malaspina.

La bellezza dell’insieme, oggi sminuita per l’assenza della prospettiva che dava respiro immenso alla doppia loggetta, celebra con le “cento colonne” un vero e proprio trionfo del marmo.

La sistemazione definitiva dell’imponente complesso, che i successivi accrescimenti avevano reso disforme stilisticamente, fu dovuta all’energica e sapiente mano di Teresa Pamphilj, sposa al duca Carlo II. Memorie degli splendori dei palazzi di Roma, volle dare decoro principesco alla facciata.
Diede perciò incarico ad Alessandro Bergamini di sistemare con armonia il prospetto principale con i risultati che oggi vediamo. Giocando principalmente sul contrasto di colore fra il rosso cybeo ed il biancore dei marmi e degli stucchi, Bergamini alleggerì con artifici diversi (le mensole abbinate del cornicione; le balaustre dell’ultimo piano, riprese nelle finestre del piano terra; lo slancio dei busti di gesso ecc.) la mole dell’edificio, mascherandone anche abilmente le diverse asimmetrie.

Teresa dedicò le sue cure anche all’interno, con la costruzione di un “grottesco” che fa da scenografico sfondo all’ingresso principale e la decorazione delle due sale attigue , dove celebrò le glorie delle famiglie Pamphilj e Cybo, nonché del grande Salone. Un ultimo cambiamento il palazzo lo subì nel 1806, quando Elisa Baciocchi, per realizzare una grande piazza di stile napoleonico, fece demolire la Pieve di S. Pietro, già antistante al Palazzo e con essa il sovrappasso che la univa alla Cappella Ducale. Di quest’ultima resta una traccia ben visibile nella facciata.

All’interno.
Una volta ricco di una splendida quadreria, che custodiva opere di Leonardo, Raffaello, Tiziano, Giorgione, Guercino ed altri fra i maggiori artisti italiani, oggi il palazzo conserva solo le opere d’arte che la sciagurata dissipazione del duca Alderano e la rapacità delle armate rivoluzionarie francesi non poterono sottrarre al patrimonio ducale. In fondo al cortile campeggia il Grottesco, di influenze stilistiche liguri e romane, ove attorno alla grande statua di Nettuno si affollano stucchi e decorazioni di diverso livello, comunque sortiscono un gradevole effetto.
Nelle due sale adiacenti  si manifestano le doti del pittore fivizzanese Stefano Lemmi nei due soffitti affrescati. La prima illustra la gloria dei quattro Papi appartenuti alle famiglie Cybo e Pamphilj. La seconda, in cui sono allegoricamente raffigurate le virtù dell’ingegno, mostra ancora la buona qualità della pittura di Lemmi.

Il Salone degli Svizzeri ha ritrovato con il recente restauro parte delle sue decorazioni, a cui lavoravano diversi pittori sotto la guida del cremonese Francesco Natali. Tuttavia quanto oggi si vede è opera di un ripristino effettuato nei primi dell’800, poiché il soffitto del Natali andò distrutto in un incendio e venne ridisegnato da Saverio Salvioni e realizzato dal reggiano Giuseppe Reggini.
Nella sala attigua al Salone, detta “degli Specchi” è conservata una grande tela di buona fattura.

Restano invece integre alcune opere dovute ai maestri carraresi del marmo ed a botteghe locali, fra le quali spicca l’Alcova del duca Carlo II, disegnata ed eseguita per Teresa Pamphilj da Alessandro Bergamini (1695-1696).
In essa la scenografica invenzione di un finto panneggio sostenuto da graziosi angioletti viene realizzata con sfoggio di marmi pregiati, documentando anche la bravura delle maestranze locali.

Nella Cappella Ducale, un tempo adorna delle opere di Pietro Tacca sono visibili, traccia dell’antico splendore, i bei soffitti affrescati con valido effetto dal carrarese Carlo Pellegrini (1646) ed una pala marmorea raffigurante la Natività, attribuita anche a Matteo Civitali, ma più probabilmente opera eccellente di artisti locali.

Pubblicato: 08 marzo 2019
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